Il lavoro di Chiara Brambilla (Bergamo, 1999, dove vive e lavora) si concentra sul rapporto con gli animali selvatici che abitano i dintorni di casa sua, con un’attenzione particolare alle pratiche venatorie e alle narrazioni che nel corso della storia ne hanno costruito l’immaginario. Partendo da vecchie fotografie in bianco e nero — a volte trovate, a volte tagliate, a volte ricostruite — le sue opere interrogano le zone grigie della relazione tra uomo e bestia, tra caccia e cura, tra gioco e dominio, mescolando e confondendo rifugi e trappole, strumenti di protezione e di condanna. In mostra, accanto a immagini tratte dal suo vasto archivio (che è in parte strumento di ricerca, in parte opera autonoma), Brambilla presenta una nuova serie di sculture in cartapesta: capriole accovacciate dai corpi leggeri che sembrano sospese tra due stati — il sonno e la morte, la resa e l’abbandono. Osservarle è un esercizio di empatia: non si sa se accarezzarle o temere il fucile che le ha rese immobili.
Roberto Picchi (Erba, 1996, dove vive e lavora), invece, rivolge lo sguardo al sottobosco — luogo ombroso e fertile per definizione, teatro di metamorfosi e casa di organismi silenziosi come i funghi, portatori di relazioni complesse e invisibili. Là dove la luce si fa scarsa e le forme si moltiplicano, Picchi raccoglie segni, colori, decomposizioni e li trasforma in un’installazione site-specific che si espande come un organismo sul pavimento della galleria. Qui, gruppi di elementi in cera d’api e paraffina si organizzano in costellazioni che imitano i contrasti visivi dei margini vegetativi: l'opera si espande, si attraversa, si scopre passo dopo passo, come un sentiero nella boscaglia. Anche nelle opere a parete, che guardano dall’alto questo tappeto colorato, la pittura si fa scultura, la materia si fa paesaggio, e il frammento si fa racconto. Un racconto dove ogni dettaglio è traccia di un equilibrio fragile tra vita e disfacimento.
Brambilla e Picchi condividono la consuetudine — propria di chi va a caccia e di chi cerca funghi — di mettersi in cammino con le prime luci del giorno. Sono quelli i momenti della giornata in cui si fanno più vivi i rapporti di vicinato con la natura. Alzarsi presto rappresenta il tentativo di dare una forma a quella prossimità che si coglie al mattino: una prossimità con l’animalità che ci sfiora e con il paesaggio che ci sopravvive, senza retorica né strumentalizzazioni, ma con la naturalezza di una genuina coesistenza.
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